Per la prima volta nell'Etiopia Meridionale fra le straordinarie tribù del bacino del fiume Omo.
Testo e foto di Vittorio Kulczycki

Il pallet sul quale dovevamo spedire le nostre moto, in aereo, con la Etiopia Airlines per Addis Abeba, altro non era che un piastrone di alluminio tre metri per due, spesso poco più di un centimetro, senza ganci, attacchi e fori per una tradizionale legatura.
Perplessi iniziammo le operazioni di carico con l'assistenza del personale addetto e tutto finì per il meglio, sul piastrone riuscimmo a caricare 6 moto, la settima fu sistemata in un altro pallet, le legature furono assicurate su ganci autobloccanti infilati lungo i bordi del pallet, poi un'enorme rete per comprimere e coprire il tutto e in poco più di due ore avevamo spedito le nostre moto per l'Africa.
L'Africa, per noi, questa volta era l'Etiopia, un paese vario per conformazione e per motivi di interesse e in ogni caso di straordinaria bellezza paesaggistica. Un precedente raid in moto partito pochi mesi prima del nostro aveva visitato l'Etiopia Storica nella regione dell'Altopiano: paesaggi montani, laghi, ambe facevano da scenario a monasteri, chiese e conventi di grande interesse architettonico, artistico e storico. La nostra meta invece era il sud, nella regione dei grandi laghi del Great Rift e del Fiume Omo fino ai confini con Kenya. Tema del raid le popolazioni e i loro villaggi e per i motociclisti una grande varietà di piste da percorrere: strade di montagna ripide e tormentate dalle piogge, piste sassose appena tracciate nei parchi, sterrati battuti dal traffico di camion con il consueto, fastidioso corrugato, piste della savana di terra dura e sabbia, pianori desertici dal fondo invitante, fango, guadi... un vero paradiso per chi ama la pista.
All'aeroporto di Addis Abeba, grazie all'efficienza del nostro corrispondente etiopico, troviamo le moto già scaricate e parcheggiate in fila davanti alla dogana, con le gomme già gonfiate (per spedirle occorre sgonfiarle), e una tanica di benzina (evidente che vanno spedite a serbatoio vuoto e batteria staccata), non abbiamo che da salire in sella e partire per beccarci il primo temporale africano. Arriviamo in albergo completamente fradici. A sera tutti al Finfine Aderash a mangiare, con le mani dallo stesso piatto, la njera (una sorta di crepe acidula nella quale si arrotola di tutto carne, vegetali, uova ...) e gli tsil tsil strisce di carne arrostita il tutto piccante e bagnato dall'ottima birra etiope.
Lasciamo Addis Abeba sotto un cielo plumbeo, è agosto e sull'altopiano piove, dobbiamo rapidamente spostarci verso sud e scendere di quota per trovare il tempo migliore (in agosto non piove nella regione dell'Omo). Percorriamo la strada asfaltata per Mojo e prendiamo a destra per Awasa. Occorre fare molta attenzione durante le soste, ci sono ladruncoli ovunque e veniamo derubati di una giacca e un paio di occhiali. Arriviamo ad Awasa sotto un'acqua scrosciante e l'albergo e una buona birra ci rimette in carreggiata. Stiamo entrando della frattura della Rift Valley, la Grande Spaccatura Continentale che dall'Etiopia arriva fino al Mozambico, una valle profonda caratterizzata da una serie di laghi e foreste circondate da rilievi importanti. Sempre su strada asfaltata costeggiamo il lago Abaya e raggiungiamo Arba Mich. Ci sistemiamo al Bekele Mola Hotel costruito su un altura con un belvedere che domina il Lago Chamo (ex Lago Margherita), il Lago Abaya e la foresta del Parco Nechisar nostra meta per l'indomani. All'ingresso del parco siamo bloccati da un problema burocratico, non hanno mai visto transitare una moto da queste parti e non sanno quale tariffa applicarci. Pagheremo all'uscita e intanto imbocchiamo i primi sterrati di questo nostro raid. L'ambiente è maestoso, traversiamo una foresta equatoriale con alberi ad alto fusto, superiamo il ponte del Paradiso e cominciamo a salire in quota per una pista, evidentemente molto poco frequentata, che sale zigzagando con tornanti in aspra salita. E' la prova per le nostre nuove KTM che vanno a meravilgia e mentre le entrofuoristrada accusano qualche problema di tenuta. La foresta lascia posto alla savane e corriamo su piste gialle, nere, grigie, rossastre (siamo in zona vulcanica) incontriamo zebre, gazzelle e facoceri. Paesaggi grandiosi sui laghi. L'impatto con le piste africane è stato duro ma entusiasmante. Incontriamo anche la prima etnia, i Dorze che costruiscono capanne dette col nasone con tetti di paglia e l'ingresso principale protetto da una sorta di abside, per raggiungere il loro villaggio percorriamo uno sterrato ripido e con tornanti molto bruschi... Un escursione con un fatiscente barcone sul lago Chamo ci fa scoprire una colonia numerosissima di coccodrilli dalle dimensioni incredibili. Sono bestioni di 7/8 metri che si muovono intorno a noi, mai visti altrove in Africa tanti coccodrilli in libertà e di tali dimensioni!
I numerosi ippopotami passano quasi inosservati. E puntiamo su Konso, finisce l'asfalto ed eccoci sullo sterrato duro, corrugato, polveroso, fa parte del gioco. Soste ai villaggi con sciami di bambini che ci corrono incontro, dietro, cercano di salire sulle moto e toccano tutto, è un incubo che dureràà per tutto il viaggio. Non hanno mai visto moto e motociclisti, che ai loro occhi devono apparire come extraterrestri, sono curiosissimi ma sorridono, sorridono sempre in segno della loro naturale ospitalità verso lo straniero. Konso e un villaggiotto trafficato, bisogna salire sulle alture circostanti per visitare i villaggi dei Konso, e le piste sono un divertimento squisito: prima una stradaccia dura piena di ciottoli che sembrano cementati a terra, poi una serie di stradelle, viottoli che salgono, scendono per arrivare infine Mechekie un villaggio che conserva un'atmosfera antica, ci sembra di aver fatto un salto nel tempo, capanne recintate con piccole corti per i lavori domestici, tutto qui è di legno, sconosciuta la plastica e raro il ferro, una comunità di agricoltori che vive in villaggi fortificati, spesso lontani dai loro campicelli. Vivono in un equilibrio armonico con la natura. Non vediamo miseria.
Ci aspettano 160 km di pista per Jinka, puntiamo verso l'interno e il bacino del Fiume Omo. Jinka ha un mercato importante frequentato dagli abitanti dei villaggi vicini che appartengono a varie etnie Bani Hamer, Banna, Ari e i Mursi famosi per il piattello labiale delle loro donne.
Al centro della cittadina un enorme campo di pallone che serve anche da pista di atterraggio per l'aereo che due o tre volte alla settimana viene dalla capitale. Qui a Jinka ci aspetta una bella sorpresa, nel Mago Park la polizia vieta l'ingresso alle moto per motivi di sicurezza.
Insistiamo come è doveroso fare in Africa quanto basta per capire che non c'è nulla da fare, fra l'altro appena 4 giorni fa ci hanno precedeuto 5 moto giapponesi che hanno avuto lo stesso problema. Quindi prendiamo gli stessi pick up presi dai giapponesi e proseguiamo per il Mago Park dopo aver caricato le nostre moto. La pista è a dir poco spaventosa . E' frequentata esclusivamente dai pochi turisti che visitano la zona quindi in pessime condizioni fra l'altro lungo l'itinerario scoppia un grosso incendio che avrebbe reso ancor più penoso il nostro viaggio. Non ci rammarichiamo più di tanto e percorriamo i 120 km che ci portano al campeggio del parco. La visita al villaggio Mursi ci costa 190 km di pistaccia ma il contatto con individui fra i più selvaggi dell'Etiopia ci lascia ricordi indelebili: le donne portano il piattello labiale che deforma il labbro inferiore e talvolta anche un piattello ai lobi delle orecchie, gli uomini sono nudi o appena coperti da una pelle di capra, portano cimieri di pelle decorati con denti di facocero e in spalla... un kalashnikov testimonianza di quanto la guerra possa incidere malignamente su gente semplice e primitiva. Lasciamo il Mago Park salutati da un branco di babbuini che hanno fatto festa con gli avanzi della nostra cena e partiamo per non si sa bene dove, le guide e gli autisti dei fuoristrada di appoggio vagano per una savana con vegetazione arborea seguendo incerte tracce , poi prendono sul tetto un locale che sembra conosca la strada, ma proseguiamo ugualmente seguendo tracce incerte, per fuoripista e solo a notte arriviamo al Russo Camp di Murle un ex campo base per cacciatori con una pista per piccoli aerei e un leone rinchiuso in un recinto che di notte emette i suoi spaventosi ruggiti. Una struttura sbagliata, anacronistica, disarmonica che andrebbe rasa al suolo. E noi ce ne andiamo su per una salitaccia di fech fech (polvere simile al talco) che da accesso ad un altopiano giallo d'erba secca, il sole esalta i colori e un venticello gradevolissimo soffia dal deserto che appare in lontananza; è forse il momento più bello del viaggio, filiamo su una pista a due corsie con fondo sabbioso, chiusa da due filari di erba alta e arbusti (per fortuna avevamo i paramani), mandrie di gazzelle Grant, orici e zebre corrono lontane. Scendiamo di quota ed entriamo in un ampia regione desertica, qualche sabbione ed eccoci arrivare ad Omorate sull'Omo River. Ci accampiamo nel cortile del posto di polizia proprio sulla riva del fiume. Fa caldo, caldissimo al punto che messa da parte ogni precauzione ci buttiamo nell'Omo, carico d'acqua per le piogge sull'altopiano. Siamo nella regione degli Hamer, un'etnia di allevatori seminomadi, le loro donne sono di una bellezza affascinante, piccole dai lineamenti delicati, corpicini seminudi, grandi occhi neri, capelli lavorati a treccine ricoperte da grasso animale, vestite di pelli di capra decorate con conchiglie fossili. A Turmi ci dicono che in un villaggio non lontano sta per avere luogo una importante cerimonia di matrimonio. Partiamo senza indugi per piste simpaticissime, su per crinali, giù per vallette, una goduria difficile da raccontare. Poi anche la più piccola pista scompare solo incerti sentieri battuti dal bestiame. La grande festa è laggiù, lontana, oltre quella collinetta a 5 o 6 km. Tutti coperti di fitta vegetazione spinosa, con cento tracce che vanno ovunque. Sembra impossibile andare avanti e molti desistono, prendo in sella un bambinetto che sembra il più sveglio del gruppo e mi faccio guidare, su per dossi, colline, calanchi poi finalmente raggiungiamo l'alveo di un torrente in secca tutto coperto di sabbia compatta, inizio la risalita e questa lingua di sabbia prosegue come una pista sinuosa, la sabbia tiene bene e il motore pure, 4, 5 km nel nulla di un fiume ed eccomi arrivare al luogo della festa.
Sono tutti hamer, le donne più belle che mai hanno il corpo lucido di un grasso rossiccio e sono impegnate in una danza frenetica attorno ad una mandria di zebù, gli uomini partecipano facendo incredibili salti sugli zebù e dimostrano il gradimento per la donna preferita prendendola a frustate!!! Non posso restare e sento di lasciare dietro di me qualcosa di straordinario e di irripetibile. Torno alla moto e ripercorro la lingua di sabbia, incontro altre due moto che hanno seguito le mie tracce e riescono a raggiungere la festa, poi insieme rientriamo fin dove finiva la pista accolti da tutto il villaggio che ha seguito le nostre peripezie e ci festeggia con canti e danze. Giornata indimenticabile.
Una lunga cavalcata ci riporta sull'asfalto a Yabelo, andiamo a visitare le miniere di sale di El Sod, poi risaliamo verso l'altopiano. Ci aspetta l'ultima avventura di questo raid in Etiopia: le Bale Mountains, saliremo da Shashemene fino a Dinsho, con l'ostello del parco che somiglia ad uno chalet svizzero, poi andremo oltre per raggiungere il Sanetti Plateau per quella conosciuta come la strada più alta di tutta l'Africa, che ci porterà fino alla cima del Deemtu a 4377m (ma devo confessare che solo una moto è arrivata fino in cima).
Sulla strada del ritorno una sosta nel mitico albergo di Madame Kiki alla stazione ferroviaria di Awash; mi farà dormire nella stanza dell'Imperatore (almeno quelle che ne resta) e ci organizzerà una favolosa cena greca, poi ancora il Parco di Awash, Harar e il rientro ad Addis Abeba con la certezza di aver scoperto con le nostre moto un angolo di Africa fra i più straordinari e incontaminati. Ma più di noi sono soddisfatte le nostre moto che hanno compiuto una prima intensa , impegnativa , coinvolgente, su terreni diversi, su montagne e pianure, per fiumi e per valli, per savane e foreste sempre pronte ad affrontare ogni difficoltà , sempre fedeli incondizionatamente al loro compagno.
On the road again forever...


Il viaggio è organizzato dal MotoClub Avventure in collaborazione con la VIAGGI AVVENTURE NEL MONDO di Roma per informazioni scrivere a VIAGGI NEL MONDO - Largo C. Grigioni, 7 - 00152 ROMA o consultare il sito www.viaggiavventurenelmondo.it